LA VIA FRANCIGENA 2023LUCCA - SIENA - VITERBO - ROMA |
LA VIA FRANCIGENA 2023LUCCA - SIENA - VITERBO - ROMA |
“Che ti move, o omo, ad abbandonare le proprie abitazioni delle città e lasciare li parenti e amici ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo?” (Leonardo Da Vinci)
Parlando della Via Francigena innanzi tutto occorre dire che una strada chiamata “via francigena” non è mai esistita. Dicendo ciò mi rendo conto di aver dato una delusione a molti. Per chiarire questa affermazione si deve fare riferimento ai fatti storici.
L’Impero Romano aveva costruito i suoi successi militari ed economici con la realizzazione delle strade consolari. L’immenso complesso viario rappresentava un’opera di straordinaria ingegneria che ha portato la civiltà romana ad essere all’avanguardia nel mondo allora conosciuto.
A partire dal III secolo a.C. fu realizzato l’asse portante di quello che ancora oggi sono le strade che “portano a Roma”: Aurelia, Cassia, Flaminia, Salaria, Tiburtina, Casilina, Appia, Nomentana e Prenestina, oltre a diverse altre strade minori. Queste infrastrutture erano essenziali per lo sviluppo dell'Impero, in quanto consentivano di muovere rapidamente l'esercito, ma oltre agli scopi militari esse avevano una grande importanza politica e commerciale. L’aspetto che avevano le strade romane all’epoca è molto diverso da come lo vediamo oggi. Esse erano all’epoca notevolmente lisce, perfettamente levigate, resistenti alla pioggia, al gelo, alle inondazioni, in quanto erano oggetto di accurate manutenzioni.
I romani diffusero il diritto e la giurisprudenza a tutto il mondo occidentale, ma era l'esercito il loro punto di forza. Difesero il loro Impero governando con il pugno di ferro e con l’oppressione. La grande rete di comunicazione era al servizio del potere imperiale. Con il disfacimento dell’Impero Romano e la suddivisione del territorio in tanti piccoli potentati, venne meno il ruolo delle consolari e del loro mantenimento. Con il tempo non solo le grandi arterie che si ramificavano da Roma andarono in disuso, ma subirono addirittura ruberie e spoliazioni. Durante il Medioevo l’interesse per i lunghi viaggi andò diminuendo. Viaggiare diventò sempre più difficoltoso per numerosi motivi. Le strade erano impercorribili, spostarsi da un luogo all’altro era molto disagevole e costoso. I territori erano infestati da briganti e bande organizzate che dissuadevano i cittadini ad affrontare l'incognita di un viaggio. Senza contare la continua minaccia delle incursioni saracene lungo le coste della penisola. Insomma viaggiare era consentito solo a chi si poteva permettere una buona scorta armata e maestranze da utilizzare per superare tutte le difficoltà logistiche del percorso. Un viaggiatore a piedi percorreva circa 20 miglia al giorno, con notevoli rischi, con scarsa assistenza e senza nessuna protezione. I costi da sopportare erano ingenti: vitto, alloggi, pedaggi e dazi di ogni genere.
“Chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Dove andate? …..Un fiorino!"
L'instabilità politica e le continue variazioni dei percorsi rendevano sporadici ed incerti gli interventi per la manutenzione delle strade, onere che, durante il medioevo, in mancanza di un’autorità centrale competeva alle diocesi o alle pievi, che non avevano disponibilità sufficienti o interesse per la loro sistemazione. Le strade erano diventate delle vere e proprie mulattiere, praticabili solo a piedi, a cavallo (privilegio destinato a pochi), o a dorso di un mulo. Con il Medioevo difatti, si era quasi del tutto abbandonato il trasporto tramite veicoli a ruote e, d'altro canto, le esigue dimensioni delle sedi stradali non avrebbero consentito, in diversi punti, il transito di carri.
Parlare di pellegrini che si avventuravano in lunghi viaggi è in gran parte romanzato.
Nel Medioevo, chi viaggiava lo faceva perché era costretto oppure viaggiava per guadagnarsi da vivere. Sulle strade circolavano, oltre a qualche raro pellegrino, vagabondi, giocolieri e commercianti ambulanti. Sono questi che hanno forgiato l’immagine tipica del viaggiatore. C'erano, però, anche viaggiatori occasionali che si dovevano spostare solo per determinati motivi e in alcune particolari circostanze come il clero, gli studenti, i letterati e gli artisti. Con lo sviluppo dei commerci i viaggiatori per eccellenza sono diventati i mercanti. Chi viaggiava lo faceva, comunque, in condizioni precarie e con diversi imprevisti da affrontare. Bisogna, inoltre, considerare che per viaggiare c'era bisogno di una sufficiente quantità di denaro per coprire tutte le spese e, siccome nel varcare le frontiere poteva cambiare anche la moneta, il viaggiatore non organizzato aveva inevitabili difficoltà nel dover affrontare viaggi di lunga percorrenza. Solo i nobili e la classe alto-borghese avevano la facoltà di possedere "lettere di credito" riconosciute nei diversi stati. In ogni caso il viaggio effettuato dai ceti altolocati era ben diverso da quello della gente comune. Un'altra categoria di viaggiatori favoriti erano i prelati e i religiosi che potevano usufruire delle agevolazioni offerte dai monasteri e dai conventi che, naturalmente, era ben diversa da quella offerta ai semplici viandanti.
Nel Medioevo si parlava della Via Francigena, ma non come viene intesa oggi. La Francigena non era propriamente una via ma piuttosto un fascio di vie, un sistema vario con diverse alternative. Non bisogna immaginare la via Francigena come un’unica arteria che attraversa l’Europa medievale da nord a sud, ma qualcosa di molto meno definito e assai più complesso. Le fonti documentarie rivelano come molte in età medievale fossero le vie “francigene”, e non si trattava di varianti di percorso di una stessa via, ma di percorsi diversi con pari dignità.
Dal disgregamento dell'Impero si erano formati numerosi piccoli regni con una suddivisione sempre più frammentata e con la difficoltà dell'autorità centrale ad assistere i propri feudi e garantirne l'ordine. Un'efficiente rete viaria veniva considerata una minaccia per eventuali incursioni di bande di briganti e di nemici.
Dante Alighieri nella “Vita Nova” parla di tre grandi vie di pellegrinaggio:
- una diretta a Santiago de Compostela, vi transitavano i "pellegrini" propriamente detti (il luogo più lontano, più peregrino); il simbolo era rappresentato dalla conchiglia.
- una diretta a Roma, i pellegrini erano detti "romei"; il loro simbolo era la chiave.
- una, passando per S.Michele Arcangelo sul Gargano, era diretta a Gerusalemme; la palma era il simbolo del pellegrinaggio ed i pellegrini erano detti "palmieri".
La via Francigena rappresentava proprio il punto di incontro dei tre percorsi: dal nord Europa scavalcava le Alpi e attraverso la Pianura Padana e gli Appennini raggiungeva Roma per proseguire verso Gerusalemme; da sud veniva utilizzata dai fedeli che dall’Italia si recavano a Santiago de Compostela.
Fu il monaco Sigerico, nominato Vescovo di Canterbury che, intraprendendo il viaggio per ricevere il “pallio” dal papa, nel ritorno lo descrisse annotandolo in un diario, con le sue 80 tappe da Roma a Canterbury.
Più che una strada la "Francigena" era una convenzione, una direzione che indicava un percorso appena abbozzato che collegava il nord Europa con Roma. Difatti in epoca medievale il concetto di strada era molto differente da quello contemporaneo. Venivano indicati dei tracciati marcati da punti di riferimento fissi, tra i quali però il percorso poteva subire diverse variazioni causate da ragioni climatiche, stagionali, di sicurezza e così via.
Il nome "Francigena", ma veniva chiamata anche “Romea”, deriva dal fatto che dalla terra dei Franchi portava a Roma. Bisogna precisare che i Franchi erano un popolo germanico, con capitale Aquisgrana (Aachen) e che solo successivamente invasero la Gallia romana dandole il nome di Francia. E', quindi, errato considerare la francigena come una strada che collegava la Francia con Roma.
Il percorso fatto dal monaco Sigerico, nel tratto italiano, ricalca quello ideato dai Longobardi per scopi politico-militari quando contendevano il territorio sia ai Bizantini che ai Franchi. A quel tempo vi era l’esigenza di collegare il Regno di Pavia con i ducati longobardi meridionali tramite una via sicura. Si scelse quindi un itinerario, allora considerato minore, che valicava l’Appennino in corrispondenza dell’attuale Passo della Cisa, tenendosi lontano dalla Liguria in mano ai Bizantini. Dopo la Valle del Magra il percorso si allontanava di nuovo dalla costa in direzione di Lucca, per proseguire verso sud all'interno della penisola perché il litorale tirrenico era controllato dalle flotte bizantine.
A partire dal 1300, con la promulgazione del Giubileo da parte di papa Bonifacio VIII i pellegrinaggi verso Roma si diffusero per ricevere l’ambìto riconoscimento delle indulgenze, ma anche grazie ad una situazione socio-politica più stabile. Le Vie Francigene si confusero con le Vie Romee percorse dai pellegrini per il Giubileo. Per il ripristino delle vecchie consolari romane, però, si dovrà attendere oltre 700 anni, fino l’unità d’Italia.
Molto più recentemente dopo la riscoperta del Cammino di Santiago, avvenuta circa 50 anni fa, e sulla scia di questo successo, l’Associazione Europea delle vie Francigene con sede a Fidenza ha cercato di ricostruire il percorso medievale descritto da Sigerico soprattutto nel tratto italiano a partire dal Gran S. Bernardo, per una lunghezza complessiva di 945 km suddiviso in 51 tappe percorribili a piedi. E’ stata realizzata una vasta segnaletica e, con il contributo degli enti locali, sono stati approntati alloggi per i turisti dislocati mediamente lungo il percorso. Soprattutto nel tratto toscano e laziale sono state realizzate strutture ricettive da parte di amministrazioni comunali e associazioni private, oltre a diversi alloggi gestiti da congregazioni religiose.
Sono tornato alla Francigena dopo 7 anni e posso affermare che ho trovato il percorso e la segnaletica migliorata, anche se c’è ancora molto da fare per avvicinarsi al più famoso Cammino di Santiago. Si nota la mancanza di un coordinamento tra i diversi organismi e le amministrazioni locali. Sembra che ognuno voglia fare un “suo” percorso a conferma che di Francigena non ce n'é una sola, lasciando dubbi nella scelta degli itinerari.
La Via Francigena è ormai diventata un richiamo escursionistico e culturale che attira molti appassionati del "turismo lento", ma deve adeguarsi alle richieste sempre più sofisticate dei viaggiatori moderni che non sono certo i pellegrini medievali di cui tanto si favoleggia. In alcuni tratti, lontano dai centri abitati, scarsi sono i punti di ristoro. In alcune località è difficile trovare alloggio soprattutto per i camminatori a piedi che non possono percorrere più di 20 - 30 chilometri al giorno.
Per attirare la massa dei giovani, inoltre, si dovrebbero incrementare le strutture di accoglienza di livello economico perché, sia ben chiaro, che percorrere la Francigena, a piedi o in bicicletta, non è pericoloso e disagevole come nel Medioevo, ma è comunque abbastanza costoso.
Il cammino italiano, dal Gran San Bernardo a Roma, è molto vario ma, secondo me, oltre al Passo della Cisa nell'Appenino tosco-emiliano, il tratto più interessante è quello toscano e laziale. Scegliere Lucca come luogo di partenza significa scegliere una delle più belle città che, insieme a Siena, Viterbo e Roma rappresentano un itinerario storico e artistico unico, che si completa con i meravigliosi borghi, gli splendidi panorami e con i numerosi boschi che si incontrano.
Settembre 2023
LE TAPPE
Prima parte: Lucca - Siena
1° Tappa - Lucca - S. Miniato Alta – km. 52
Lucca è certamente una delle più belle città della Toscana, non potevo mancare di fare l’intero percorso scelto da “Viaggiareinbici” di nove giorni a Lucca a Roma. |
2° Tappa - S. Miniato alta - Colle val d'Elsa – km. 51
Oggi è sabato, partiamo dall’albergo intorno alle nove attraversando le strade del centro storico di San Miniato. All’uscita del borgo transitiamo sulla provinciale che porta verso Castelfiorentino fino ad una strada sterrata ma ben compatta che sale a mezza costa, con un’ampia veduta sulla Val d’Elsa. Superata la Pieve dei Santi Pietro e Paolo a Coiano percorriamo una serie di sentieri collinari in un ambiente campestre tra vigneti, case coloniche e gli immancabili cipressi toscani, un panorama che ci accompagnerà fino a destinazione. Arrivati a Chianni lasciamo provvisoriamente il sentiero sterrato per prendere la strada provinciale Volterrana fino a Gambassi. |
3° Tappa - Colle val d'Elsa – Siena - km. 39
Oggi, domenica 10 settembre, terminerà la prima parte della nostra Via Francigena. La tappa odierna ci porterà a Siena che da sola meriterebbe di dedicare un viaggio. Ma prima della città del Palio visiteremo il magnifico borgo di Monteriggioni. E’ una delle tappe più brevi dell’intero percorso. |
LE TAPPE della Via Francigena
Seconda parte: Siena - Roma
4° Tappa - Siena - San Quirico d'Orcia - km. 53,5
Il ritrovo alla Stazione di Siena era previsto per le ore 10.00. Dopo le inevitabili operazioni di preparazione si parte abbastanza puntuali. Non è possibile attraversare il centro storico di Siena in bicicletta e, pertanto, niente Piazza del Campo! Gli amici di “Viaggiareinbici” hanno scelto un percorso alternativo che costeggia la linea ferroviaria e ci porta alla salita del Linaiolo per imboccare la Strada di Certosa, lasciata la quale ci dirigiamo verso Isola d’Arbia, situata tra i torrenti Arbia e Tressa. Poco dopo transitiamo per Ponte a Tressa e proseguiamo sul crinale delle colline percorrendo sentieri sterrati, passando vicino ad una delle fattorie fortificate del senese: Grancia di Cuna che fu costruita per essere utilizzata come centro di raccolta dei prodotti agricoli per lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, uno di punti più importanti di accoglienza e assistenza della Via Francigena |
5° Tappa - San Quirico d'Orcia - Abbadia San Salvatore - km. 40
Oggi, martedì 12 settembre, come quelle precedenti è una bella giornata assolata. Quest’anno l’estate è particolarmente afosa, ci accompagna una temperatura calda che in bicicletta non percepisco. Il piacere di pedalare e il panorama che ci circonda non mi fanno avvertire il fastidio del caldo eccessivo. |
5 bis - Abbadia San Salvatore - Monte Amiata - km. 13
Un’ora di tempo è stata sufficiente per ricaricare le batterie delle e-bike. Un piccolo gruppo si presenta per la salita al Monte Amiata. Uscendo dalla cittadina passiamo di fronte all’ingresso del Parco Museo Minerario, poco dopo incontriamo i resti degli impianti della miniera che rappresentano una vera archeologia industriale che, si spera vengano lasciati ai posteri quale testimonianza di un passato recente. Non tutti gli stabilimenti dismessi sono degni di conservazione ma alcuni, come queste miniere di mercurio, hanno un’importanza storica da valorizzare. Sarebbe bene che simili esempi rimangano come documentazione della società industriale del XIX e XX secolo. Un giorno avranno lo stesso richiamo delle antichità romane.
In 13 chilometri di salita si passa dagli 848 metri di altitudine di Abbadia ai 1670 di Pianello, il piccolo centro turistico alla cima dell’Amiata. L'origine del toponimo Amiata deriverebbe dal latino “ad meata”, ossia «alle sorgenti». La presenza dei Longobardi farebbe propendere per il riferimento alla parola “heimet”: Piccola patria. Vi si trovano le sorgenti ricchissime di acque da cui nascono i fiumi: Fiora, Vivo, Albegna e Paglia. L'Amiata era la terra sacra per gli Etruschi, dove dimorava la loro divinità più importante: Tinia (Giove per i romani). E’ un rilievo isolato, al centro della Tuscia, circondato da vaste pianure che, in condizioni ambientali favorevoli è visibile da grandi distanze. Si dice che sarebbe visibile anche dalla lontana Sardegna e dal massiccio del Gran Sasso. |
6° Tappa - Abbadia San Salvatore - Bolsena- km. 61
Con la sorpresa fattaci da Paolo e l’inaspettata salita al Monte Amiata ci siamo ripresi dalla delusione di non aver affrontato la salita di Radicofani. ***** La condanna, l'abiura e la riabilitazione
Durante gli interrogatori di fronte al Sant’Uffizio, Galileo cercò di difendersi dall’accusa di aver avvalorato la teoria eliocentrica copernicana nella sua opera “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”. Nello spiegare le sue teorie, che erano state interpretate in contrasto con la teologia, Galileo ammette che la Sacra Scrittura non può mai mentire o ingannare, ma aggiunge subito che possono essere in errore i suoi interpreti o espositori in vari modi, il più grave dei quali è quando essi si fermano al puro significato letterale di essa. Data la necessità di una interpretazione più autentica della Bibbia, afferma lo scienziato, “mi pare nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie”. Galileo, cioè, formula quel principio dell’autonomia dello studio della natura che diverrà uno dei cardini della ricerca scientifica moderna. E’ universalmente considerato l’inventore del “metodo scientifico” basato sulla sperimentazione. «E pur si muove!»
Sono le parole che innumerevoli autori dei secoli successivi, nel ricostruire la vicenda del processo, affermano che Galileo avrebbe esclamato subito dopo la sua forzata abiura dell'eliocentrismo. In realtà non esistono testimonianze dirette che Galileo abbia mai pronunciato questa frase. Non dobbiamo stupirci perché la storia è piena di leggende e di episodi tramandati per “sentito dire”. *****
Dopo una breve sosta nel borgo di Proceno proseguiamo scendendo verso il corso del Paglia e costeggiando il fiume saliamo ad Acquapendente percorrendo un breve tratto della via Cassia. Acquapendente deve il suo nome al fatto di essere situata nei pressi di numerose piccole cascatelle che confluiscono nel fiume. Con la donazione dei beni di Matilde di Canossa al papa, Acquapendente entrò a far parte dello Stato della Chiesa.
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7° Tappa -Bolsena -Viterbo - km. 33,5
Giovedì 14 settembre, lasciamo l’albergo in riva al lago per dirigerci verso la Cassia. Il lago è circondato da colline verdeggianti, con coltivazioni di olivo e vite alternati a piccoli boschi di cerri e roverelle. Il tracciato odierno si svolge interamente all’interno della Tuscia dell’Alto Lazio. |
8° Tappa - Viterbo - Campagnano Romano - km. 66
Anche oggi la giornata ci offre un bel cielo sereno e una buona temperatura. Siamo nel pieno della Tuscia laziale di cui Viterbo è la citta principe, con la sua arte e la sua storia. E’ chiamata la città dei Papi perché qui sono accaduti eventi importanti per la Chiesa. Lasciamo l’albergo passando per Piazza Martiri d’Ungheria di fronte alla rupe del quartiere medievale di San Pellegrino e del Palazzo dei Papi.
Quel palazzo dove si tenne il primo Conclave della storia, un “claus com clave” (chiusi a chiave) che costrinse i cardinali a nominare il successore di Clemente IV. I cardinali, divisi tra parte filofrancese (guelfa) e parte filotedesca (ghibellina), ma anche divisi da forti interessi familiari e personali, non riuscivano a trovare l’accordo, tanto che questo primo conclave durò dal 1268 fino al 1271. La curia papale si era ritirata a Viterbo perché la città di Roma era caduta nelle mani della parte ghibellina, fedele agli imperatori della famiglia “Hohenstaufen”, discendenti di Federico II. Infatti Corradino di Svevia, dopo la morte di suo zio Manfredi rimase l’ultimo erede della famiglia e successore dell’imperatore, accolto in un primo tempo vincitore dai cittadini di Roma, si scontrò con le forze angioine filo-papali in una battaglia decisiva a Tagliacozzo. Fu sconfitto, fatto prigioniero, processato e condannato a morte il 29 ottobre 1268. Con la fine di Corradino si concluse l’idea di Federico di formare un regno d’Italia dalle Alpi alla Sicilia. Dall’esito di questa vicenda lo Stato della Chiesa si rafforzò, ma le forti divergenti perdurarono e la guerra, terminata sul campo a favore degli angioini, continuò tra i cardinali riuniti a Viterbo. La nomina di un Papa a quei tempi aveva un’importanza anche socio-politica, c’era un forte intreccio tra le questioni di fede e quelle civili, rilevanti erano le interferenze dei re e degli imperatori. Le lungaggini che si stavano verificando a Viterbo suscitarono l’esasperazione del popolo. Su iniziativa del Podestà e del Capitano del Popolo furono tentate tutte le pressioni possibili per costringere i cardinali ad una scelta, fino a ridurre drasticamente il vitto e addirittura a scoperchiare il tetto della sala. Dopo 1006 giorni di sede vacante, finalmente (con l’ispirazione dello spirito santo) fu scelta la figura del cardinale Tedaldo Visconti che divenne Papa con il nome di Gregorio X. Da allora la scelta dei pontefici fu effettuata sempre in Conclave cercando di evitare ogni interferenza esterna. Dal 1942 i Conclavi si sono tenuti nella Cappella Sistina in Vaticano. |
9° Tappa – Campagnano Romano - Roma km. 47
Oggi percorreremo l’ultima tappa che ci porterà a Roma con 47 chilometri attraverso la Tuscia laziale, avendo compiuto complessivamente 460 chilometri dopo 9 giorni di cammino dal nord della Toscana: dall’Arno al Tevere. Transiteremo all’intero del Parco Regionale di Vejo ed entreremo nell’agro romano nel bacino del biondo fiume. Pedaleremo sulla ciclabile del Tevere fino a Piazza San Pietro.
Quando rientro nella mia città di adozione mi pervade sempre una certa trepidazione. Non si possono dimenticare 35 anni vissuti nella “città eterna”. L’atmosfera magica di Roma si comincia a vivere anche dalla lontana periferia. Campagnano, come tutti borghi della provincia, gravitano intorno alla capitale e ci si sente già alle sue porte.
Come sempre alle 9.00 ci riuniamo all’ingresso dell’albergo, tutti pronti con le nostre bike. Lasciamo l’abitato di Campagnano prendendo una strada in salita che aggira il Monte Razzano per dirigerci verso la Valle del Sorbo che, sopra ad una collina dietro una fitta vegetazione si nasconde il Santuario della Madonna del Sorbo. Per la terza volta attraverso questa valle senza vedere il Santuario. Oggi c’è ancora meno tempo da dedicare ai particolari paesaggistici, si deve arrivare in tempo per consentire ai cicloturisti di prendere il treno o la “navetta” per tornare a casa. Il santuario di origine medievale è costituito dal Monastero e dalla Chiesa con all’interno alcune opere di Carlo Fontana. Meriterebbe una visita e, pertanto, mi propongo di dedicare un’apposita gita per conoscere meglio questa parte del Lazio che conosco poco. Percorrere la Valle del Sorbo ci dona un fascino particolare, è un ambiente assolutamente naturale, lontano dai rumori e dal caos della vita moderna pur essendo a pochi chilometri dalla metropoli. Nei piccoli spazi che si aprono dentro il bosco si possono incontrare animali al pascolo libero che convivono tranquillamente con i tanti vacanzieri della domenica. La Valle si sviluppa all’interno del cratere del Sorbo ed è attraversata dal fiume Cremera e dalle acque del Fosso della Mola, che prende il nome da un vecchio mulino. Siamo nel cuore del Parco di Vejo nella parte, forse, di più alto valore naturalistico e ambientale. Anche questa zona viene ricordata per essere stata il set cinematografico di alcuni film spaghetti-western.
Proseguendo per Via del Sorbo si arriva al bivio per Formello, ma noi giriamo per Via Grottefranca e Via della Focaraccia che ci porta ad incrociare la Cassia. Entriamo nel Prato della Corte nelle vicinanze dell’Area Archeologica di Vejo, uno degli ultimi siti etruschi che, naturalmente, non abbiamo il tempo di visitare, ma che mi prometto di tornarci al più presto. Le vicende storiche di Roma e degli Etruschi sono in gran parte leggendarie, pochi sono i documenti storici tramandati, ma tra i due popoli certamente il motivo degli scontri verteva sul controllo del Tevere. Prima della fondazione di Roma il Tevere era diviso tra i Latini e Vejo. I Latini arroccati sulle alture dei Colli Albani, erano stanziati sulla sponda sinistra del fiume, mentre Vejo controllava la riva destra (la riva veiente). Già il primo re di Roma Romolo dovette difendere la città contro le pretese degli Etruschi, una disputa che durerà per molto tempi con alterne vicende da una parte e dall’altra. In ogni caso si deve dire che gli ultimi re di Roma furono tutti di origine etrusca: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo che fu destituito per proclamare la Repubblica. Vejo è stata un’acerrima nemica anche della Roma repubblicana il cui conflitto è durato per diversi secoli prima della vittoria definitiva ad opera di Furio Camillio, che fu considerato il secondo fondatore di Roma.
Usciamo dal Parco Regionale di Vejo prendendo Via della Giustiniana che ci porta verso Prima Porta, dve prendiamo la Flaminia fino a Labaro. In prossimità dello svincolo del Gran Raccordo Anulare, vicino al Centro RAI di Saxa Rubra, inizia la ciclabile del Tevere. La ciclabile si snoda lungo il fiume in una zona dove sono ubicati diversi centri sportivi: campi di calcio e tennis, piscine e piste ippiche, oltre a diversi circoli canottieri. Un percorso panoramico che va dalle rive del fiume alle colline della periferia romana, ma non sempre la pista si trova in buone condizioni a causa delle erbe infestanti che ostruiscono il passaggio. Oggi ho trovato la ciclabile molto meglio di altre volte. E’ una struttura che dovrebbe essere un fiore all’occhiello per la città nell’offrire una buona accoglienza ai turisti, oltre che un buon sevizio agli sportivi romani. Superato l’ippodromo di Tor di Quinto e gli impianti dell’Acqua Acetosa, sull’altra riva si erge la collina di Villa Glori.
Siamo finalmente a Roma e, come succedeva a tanti viandanti e ai tanti eserciti che rientravano nella città eterna dopo qualche battaglia, anche noi passiamo per lo storico Ponte Miglio. E’ uno dei primi ponti costruito dai romani che si ricorda per i numerosi eventi del passato. Dalla Battaglia di Costantino con la famosa apparizione “in hoc signo vinces” all’abbattimento delle arcate fatta da Garibaldi, durante la Repubblica Romana, per ostacolare l’ingresso delle truppe francesi di Napoleone III. Il passaggio sul ponte fu ripristinato da Pio IX l’anno successivo con l’aggiunta di una statua dell’Immacolata. Ponte Miglio era famoso anche per le alluvioni che provocava a causa dei suoi archi troppo bassi. Veniva chiamato anche Ponte Mollo e quando il Tevere era in piena l’acqua che non riusciva a defluire usciva dagli argini e arrivava fino a Piazza del Popolo. Del resto il Tevere è un fiume a carattere torrentizio, passa facilmente dalle secche estive allo scorrere impetuoso delle sue acque invernali. Attualmente il ponte è chiuso al traffico ed è un luogo di intrattenimento e di manifestazioni.
Naturalmente ci siamo fermati in prossimità del ponte per una foto ricordo. Percorrere gran parte della città fino al centro storico, senza traffico né semafori è seducente per qualunque romano. Da ex romano mi sono goduto l’intera passeggiata lungo la banchina in sella alla bici fino a Ponte Vittorio. All’altezza del Foro Italico si cominciano a vedere anche i barconi sul fiume che sono case galleggianti utilizzate, in passato, dai “Fiumaroli” che vivevano sulle sponde del Tevere facendo i pescatori. Molti erano i fiumaroli fino a quando l’acqua del fiume era pulita e non era ancora inquinata, oggi sono pochi gli appassionati che continuano a pescare.
Sul Tevere operavano anche i “Barcaioli” che, quando non c’erano i ponti traghettavano le persone da una sponda all’altra. Ultimamente il fiume è frequentato soprattutto da canottieri e canoisti che si allenano lungo il fiume con le loro imbarcazioni sportive. Il “fiumarolo” più famoso di Roma è stato senz’altro “er Ciriola” (l’anguilla) che vanta oltre 160 salvataggi di persone in difficoltà nel fiume, con i relativi riconoscimenti onorifici. Un vecchio cittadino italo-belga (Rick De Sonay nato a Roma nel 1899) invece, ha attirato l’attenzione per lungo tempo con i suoi tuffi nel giorno di Capodanno: un perfetto tuffo a volo d’angelo. Dal 1946 “Mister OK” (così lo chiamavano perché ad ogni tuffo alzava il braccio facendo il segno che andava tutto bene!) si è tuffato dal Ponte Cavour subito dopo lo sparo del cannone del Gianicolo, a mezzogiorno. Mister OK ha eseguito puntualmente il suo tuffo ogni anno fino agli anni ’80, ma numerosi sono stati i suoi imitatori a partire dal suo discepolo più fedele: Maurizio Palmulli, che continua la tradizione del tuffo di capodanno.
Superato Ponte Miglio e il Foro Italico, finisce il tratto più naturale e selvaggio del fiume e si entra nella parte urbana con i suoi muraglioni costruiti dopo l’unità d’Italia. Si racconta che fu Garibaldi il maggiore sostenitori dei lavori, del resto l’Eroe dei Due Modi aveva un conto in sospeso con la città dei Papi. Preoccupato, ma soprattutto arrabbiato per le lungaggini parlamentari per l’approvazione delle opere, Garibaldi fece un appassionato discorso ai suoi colleghi deputati per convincere che Roma aveva bisogno di risolvere definitivamente il problema delle inondazioni del Tevere, che avevano afflitto i romani fin dall’antichità. Il suo appassionato intervento ebbe successo, le opere furono approvate dal Parlamento e i lavori, iniziati nel 1876, terminarono ben 50 anni dopo nel 1926. Un’opera gigantesca che, stravolgendo il volto della città, ebbe il merito di risolvere le inondazioni cittadine. Tra gli interventi realizzati nel centro storico per realizzare i muraglioni, i più clamorosi furono l’abbattimento del Porto di Ripetta e quello del Porto di Ripa Grande, che ora rimane nel ricordo dei romani solo nelle foto antiche e nei dipinti di Ettore Roesler Franz. L’intervento servì per ovviare ai disastri nel centro di Roma, ma spostò il problema nelle campagne a monte e a valle e non risolse il problema della strettoia del Ponte Miglio. Negli anni successivi all’ingresso della città furono realizzati sbarramenti sul fiume con bacini e traverse per attenuare l’irruenza delle piene, ma soprattutto lasciando ampi spazi liberi nella campagna romana, mentre a valle fu realizzato il “drizzagno di Spinaceto” per favorire il deflusso delle acque verso la foce.
Percorrendo l’ultimo tratto della ciclabile, sulla banchina del Tevere, abbiamo potuto ammirare alcuni canottieri in allenamento, ma anche un battello che fa servizio da Castel Sant’Angelo all’Isola Tiberina. Purtroppo il corso torrentizio consente la navigazione del fiume solo per alcuni tratti. A Ponte Vittorio Emanuele, dopo 14 chilometri di ciclabile, risaliamo sulla scala del muraglione ed entriamo nel Lungotevere in Sassia dove inizia Via della Conciliazione che ci porta in Piazza S. Petro.
La nostra meta è raggiunta e non perdiamo l’occasione per una foto ricordo, ma la destinazione finale si trova a Piazza della Repubblica di fronte alla Stazione Termini, dove ci aspetta Marcello con il furgone.
Senza nulla togliere ai percorsi effettuati in questi nove giorni, la degna conclusione della Via Francigena è l’attraversamento del centro di Roma. Passando per Campo Marzio, sfiorando Piazza Navona, salendo su Via IV Novembre siamo transitati di fronte al Quirinale e proseguendo per Via XX Settembre siamo arrivati a Piazza Esedra e finalmente alla Stazione Termini. E’ un percorso meraviglioso anche se l’affollamento dei turisti nelle piccole strade del centro non rende agevole pedalare con le bici. Alla stazione abbiamo riconsegnato le bici prese a noleggio. Alcuni di noi hanno preso la “navetta” per tornare a Siena e riprendere le loro auto. Altri, come me, si sono recati ai mezzi pubblici per tornare alle loro abitazioni. Io non sono fatto per i convenevoli, saluto (troppo!) affrettatamente i miei compagni di viaggio e mi avvio verso la stazione. La frenesia per le emozioni vissute e il desiderio di tornare a casa mi avevano, inconsapevolmente, messo una certa ansia. Dopo nove giorni di cammino avevo bisogno di “staccare”.
In ogni caso sono stati nove giorni stupefacenti anche per la compagnia che ho avuto e, soprattutto per le nostre guide che, come sempre, hanno dimostrato una professionalità e una competenza eccezionali. Grazie a tutti i cicloturisti. Grazie a Paolo, Danilo e Marcello. Grazie alle nostre guide per la loro professionalità e per la scelta dei percorsi.
Mi sarebbe piaciuto tornare a Roseto degli Abruzzi con la ferrovia Roma-Pescara, ma ho saputo che c’erano interruzioni che obbligavano a diverse trasbordi in pullman. E’ una linea ferroviaria un po' antiquata, ma proprio per questo molto affascinante, che attraversa l’Appennino Centrale transitando in località isolate e vallate incontaminate. Mi dispiace ma sono costretto a prendere l’autolinea regionale che mi porta in Abruzzo tramite l’autostrada Roma-Teramo.
Quando sono sul pullman mi accorgo che per la fretta, ma forse più per l’emozione, questa mattina mi sono dimenticato di azionare l’app di “wikiloc” oggi, quindi, non mi è possibile scaricare la planimetria della tappa. Durante il viaggio nel Pullman ho la possibilità di ripensare all’ennesima scarpinata lungo la Via Francigena che per me resta sempre il simbolo dei “Cammini” storici.