IL CAMMINO DI SAN FRANCESCO

Il racconto di un viaggio: Prima parte

RIETI - ASSISI


La Valle Santa

La piana reatina a ragion veduta viene chiamata la "Valle Santa". In questa valle, infatti, ci sono segni dell’opera benedettina e francescana. In epoche diverse le vite dei due santi si sono incrociate, in maniera particolare proprio in questi territori.
Si chiama anche “Valle Francescana” per le numerose visite che Francesco fece in questi luoghi, sempre ospite delle numerose comunità benedettine.
Nei dintorni della città di Rieti, il Santo Francesco trascorse diversi periodi fondamentali della sua vicenda terrena. La sua permanenza in questi luoghi sono stati segnati da una intensa ricerca spirituale durante i quali accaddero alcuni degli eventi più importanti del suo cammino mistico. Poggio Bustone, Fonte Colombo, Greccio e La Foresta rappresentano quattro località legate strettamente alla vita del Santo.
Nel Convento di San Giacomo Apostolo, tra i boschi che sovrastano il paese di Poggio Bustone il Santo ricevette la visita di un angelo che gli rimise i suoi peccati e gli predisse la felice espansione del proprio Ordine. Sempre in una grotta, in prossimità del Santuario di Fonte Colombo, redasse nel 1223 la Regola definitiva dell’Ordine dei Francescani. Nel Santuario di Santa Maria della Foresta probabilmente Francesco compose il mirabile Cantico delle Creature e nel Santuario di Greccio, la notte di Natale del 1223, mise in scena il primo Presepe della storia della cristianità.

alt
alt

Il simbolo del TAU, il suo significato per Francesco

Nell’Antico Testamento il profeta Ezechiele parla del Tau, l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, come del simbolo che, posto sulla fronte dei poveri di Israele, li aveva salvati dallo sterminio. Simbolo, quindi, di salvezza, allo stesso modo viene ripreso anche nel Nuovo Testamento. Al di là dei profondi significati teologici, la sua forma richiama inequivocabilmente la croce, e i primi cristiani lo adottano. Chi indossa questo simbolo, dichiara la sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Francesco e i suoi compagni lo considerano un sigillo, la testimonianza di voler portare la croce su loro stessi e condurre la vita terrena verso la salvezza di quella ultraterrena.
Il TAU diventa il segno più caro a Francesco che lo adotta come sua firma. Il TAU è di solito in legno di ulivo, un materiale molto povero e duttile è, quindi, simbolo di vita semplice e in povertà di spirito. Per Francesco, come il legno di ulivo, il cristiano deve lasciarsi plasmare dalla parola di Dio.

LE TAPPE

Prima parte: Rieti - Assisi


1° Tappa - La Valle Francescana – Rieti - Greccio - km. 41,19

Salita del Santuario di Greccio (m 657) km. 3
Salita verso il paese di Greccio (m 717) km. 3

dislivello positivo m. 390. - dislivello negativo m. 390
alt
alt















L’incontro con i compagni di viaggio e con le guide era stato stabilito alle 11 dinanzi all’Hotel Cavour. Paolo e Danilo con il furgone di “viaggiareinbici” arrivano puntuali e si mettono subito al lavoro, preparando meticolosamente le bici per coloro che le hanno noleggiate.
I partecipanti a questo primo tratto del Cammino di San Francesco sono 9. Ci viene detto che alcuni che si erano iscritti hanno disdetto all’ultimo momento, forse per le recenti notizie su nubifragi e allagamenti. Certamente chi si è presentato alla partenza dimostra uno spirito di avventura spiccato e una passione per la bici superiore al normale. Una passione abbondantemente ripagata perché ad eccezione dei primi due giorni con una saltuaria pioggerella, per il resto del camino abbiamo trovato delle splendide giornate con sole pieno e temperature miti. Tra i cicloturisti figurano ben 3 coppie di coniugi, tutti oltre la settantina. Io aumento di gran lunga la media, ma per fortuna c’è un “giovane” di 56 anni che ha scelto di pedalare con una bici muscolare.
alt La prima tappa prevede un percorso all’interno della Valle Francescana fino al Santuario di Greccio per complessivi 41 km in gran parte lungo la ciclabile reatina. Una tappa poco impegnativa con una breve salita verso il santuario. Si parte con una leggera pioggia che, saltuariamente, ci accompagnerà per l’intera mattinata. Siamo tutti attrezzati e la pioggia non disturberà più di tanto il nostro percorso.
Usciamo dalla Porta Romana e dopo 18 km di pista ciclabile lungo il Velino affrontiamo la salita verso Greccio il cui luogo è stato testimone del primo presepe realizzato nella storia. L’episodio è talmente curioso e affascinante che vale la pena raccontare come e perché questo paesello sperduto nelle montagne reatine è diventata la patria del presepe.
Francesco tornato dalla Terra Santa trovò il suo Ordine in gran subbuglio a causa della mancanza di organizzazione all’interno della confraternita. Approfittando dell’assenza del fondatore si iniziò a creare una distinzione all’interno dell’Ordine. Da una parte gli “Spirituali” coloro, cioè, che non tenendo conto dello sviluppo naturale dell'Ordine, rimasero fermi alla lettera della regola specialmente riguardo alla povertà e alla rinuncia di ogni privilegio, dall’altra i “Conventuali” guidati dai “frati dottori” che auspicavano una maggiore liberalità nello stile di vita dei conventi. Una diatriba che durò per molto tempo con dispute che coinvolsero anche le gerarchie ecclesiastiche. L’Ordine era completamente in mano ai “frati dottori”, critici contro i principi di uguaglianza voluti da Francesco, che stabilirono che le cariche fossero appannaggio solo dei frati sacerdoti, di coloro, cioè, che avevano svolto un percorso di studi fino all’ordinazione sacerdotale, promovendo quello che Francesco aveva sempre trascurato: il livello culturale dei fraticelli. Questo nuovo modello all’interno dell’ordine portò alla convinzione che i primi frati, compreso Francesco, fossero incolti. Una convinzione alquanto stravagante se si considera che il “Cantico di frate Sole” costituisce uno dei cardini fondamentali del volgare Italiano. Ma anche nella sua “Leggenda Major” Bonaventura di Bagnoreggio non ritenne degno di essere nominato il testo scritto in volgare, anzi costituiva la prova della scarsa cultura di Francesco. Una critica che venne mossa anche a Danta Alighieri che dette lustro al volgare gettando le basi della lingua italiana. Che Francesco non fosse né sempliciotto né illetterato lo dimostrano le tante lettere e le diverse “lodi” che sono state pubblicate. Secondo le fonti del tempo, le sue prediche sono semplici e di grande presa: quando Francesco parla, riesce a conquistare gli ascoltatori che rimangono affascinati dalle sue parole. Non trascurava, certamente, la scrittura. Specialmente negli ultimi tempi della sua vita dichiara di voler scrivere «considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa dell'infermità e debolezza del mio corpo».
Tutto ciò conferma la complessità della figura di Francesco e tutte le sue contraddizioni, ma il fraticello fu sempre coerente con i suoi rigidi principi di fede, strettamente legati allo spirito del Vangelo. Rientrato dal suo viaggio, per non dover patteggiare con i “frati dottori”, senza passare dalla Porziuncola Francesco andò direttamente a Roma per chiedere al papa l’autorizzazione di riformare la sua Regola. Con l’aiuto del cardinal Ugolino venne redatto un nuovo statuto che Francesco volle mantenere sempre nella perfetta e letterale osservanza del Vangelo. La nuova Regola fu presentata e discussa in un Capitolo tenuto alla Porziuncola nel 1221. Era scontato che la Regola, con le poche novità apportate, non poteva riuscire a mettere concordia tra i frati. Tale disaccordo convinse Francesco a rinunciare alla conduzione dell’Ordine, con la nomina a primo Ministro Generale del suo fidato fra Elia da Cortona. Nonostante la sua rinuncia Francesco restò sempre il punto di riferimento dell’Ordine e il Capitolo dei frati gli chiese di rielaborare ancora un nuovo testo.
Rifugiandosi in una grotta selvaggia presso Fonte Colombo, nella valle reatina, insieme a frate Leone e frate Bonizzo ci fu un lungo lavoro, intervallato da digiuni e preghiere. Non fu un lavoro semplice per le numerose interferenze e insistenti richieste di modifiche, fin quando nel maggio 1223 fu presentato il testo definitivo al Capitolo Generale della Porziuncola. Dopo aver ricevuto da Ugolino una messa a punto definitiva la Regola fu presentata a papa Onorio III che l’approvò nel novembre successivo.
Avuta la conferma dell'approvazione della sua Regola volle festeggiare l'evento con la realizzazione della rievocazione “vivente” della natività. Per concretizzare questo suo desiderio non mancò di chiedere il permesso al papa, che glielo concesse.
Per la sua rievocazione scelse uno dei posti della Valle Santa che prediligeva. In occasione del Natale 1223 si recò nel paese di Greccio, che gli ricordava Betlemme. Fu qui che disse al suo amico Giovanni Velita: “Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante”. Fu individuata una grotta e vi furono radunati tutti i contadini e i pastori della zona. Nella grotta presero posto, per volontà di Francesco, un bue e un asinello secondo quanto racconta lo Pseudo-Matteo. A posto del bambinello fu messa una immagine di terracotta. Francesco non volle rappresentare il ruolo di Maria e Giuseppe perché la nascita di Gesù non fosse spettacolare, ma rimanesse nella sua semplicità. Quindi nel primo presepe “vivente” la sacra famiglia, era rappresentata solo dal bambinello in terracotta. Tomaso da Celano, autore della prima biografia di san Francesco, scrive: “Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme”. La sacra rappresentazione, nata dal desiderio di Francesco ebbe una risonanza tale che da quella notte di Natale del 1223, in tutta Italia ed in tutto il mondo, si diffonderà l’usanza di realizzare il “presepe” in occasione del Natale.
Il termine deriva dal latino “praesaepe”, che significa mangiatoia, greppia, ma anche recinto chiuso dove venivano tenuti al sicuro e sotto controllo animali come capre e pecore. Alcuni autori per riferirsi alla natività del Cristo utilizzano il termine “presepio”, dandogli un significato in senso sacro, mentre “presepe", usato in senso laico, si riferisce esattamente alla mangiatoia. Secondo l’Accademia della Crusca sono leciti entrambi i termini, perché hanno lo stesso significato.
La rievocazione di Francesco avvenne secondo il Vangelo "apocrifo" dello Pseudo-Matteo di cui probabilmente aveva avuto occasione di informarsi durante il suo soggiorno in Palestina. La natività è narrata solo da due Vangeli canonici, in maniera molto sintetica e differente. Matteo, nel suo Vangelo, narra che "alcuni Magi vennero da oriente. Ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono offrendo in dono oro, incenso e mirra."
Il Vangelo canonico di Luca, invece, narra: Giuseppe salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primigenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte il loro gregge. Un angelo del Signore si presentò ..... e disse loro: - Non temete , ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore - E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che odava Dio. Appena gli angeli si furono allontanati i pastori dicevano fra loro - Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere - Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia." Nessuno dei Vangeli canonici fa riferimento alla grotta e alla presenza di animali, Matteo parla dell'adorazione dei Magi, mentre Luca cita la visita dei pastori. I Vangeli apocrifi narrano altre vicende, la rievocazione vivente di Greccio rappresenta una sintesi dei diversi racconti con una versione molto poetica.
Francesco si proclamava “ignorans et idiota” e certamente non gli si deve attribuire una formazione culturale scolastica organica e strutturata, ma bisogna anche dire che sapeva leggere e scrivere. Si racconta anche che da sua madre madonna Giovanna Pica Bourlemont, originaria della Provenza, aveva appreso la lingua francese. Battezzato dalla madre col nome di Giovanni, lo vedrà mutato in Francesco al ritorno del padre, assente per un viaggio di affari in Francia. Il nome di Francesco gli rimase per tutta la vita perché anche a quei tempi la volontà del pater familias era prevalente e insindacabile.
Iniziare il Cammino di San Francesco da Greccio mi è sembrato molto appropriato e spero che i miei compagni di viaggio abbiano dato lo stesso significato alla prima tappa del Cammino.
alt Dopo la visita al Santuario abbiamo proseguito verso l'abitato di Greccio situato a circa 3 km dal Santuario a 717 metri di altezza. L’unica attività commerciale aperta era una trattoria i cui titolari ci hanno accolto, nonostante l’ora tarda e dove abbiamo mangiato un buon pranzo.
Abbiamo lasciato il paese percorrendo una lunga discesa transitando vicino all’Abbazia di S. Pastore, un complesso monacale fondato nel 1137 dai cistercensi, quando Bernardo di Chiaravalle inviò una colonia di monaci a Rieti, ma secondo alcune fonti il monastero avrebbe origini più antiche: sarebbe stato fondato dai benedettini nell'anno 945. Rappresenta, quindi, uno dei tanti punti di congiunzione tra l’ordine benedettino e quello francescano, un connubio tra Benedetto e Francesco che si ripete in più circostanze come ho avuto occasione di verificare lo scorso anno nel Cammino di Benedetto, da Norcia a Montecassino, e che incontreremo ancora nei prossimi giorni seguendo il Cammino di Francesco. L'Abbazia di San Pastore nel 1843 fu venduto ad alcuni nobili reatini e iniziò un periodo di abbandono e decadenza. Negli anni Ottanta del secolo scorso l’edifico fu acquistato da un imprenditore privato che avviò il recupero dell’abbazia. Oggi il sito è utilizzato per eventi quali workshop, meeting aziendali, matrimoni, ricevimenti, mostre e concerti. E’ visitabile solo su prenotazione.
Superata l’Abbazia di San Pastore proseguiamo percorrendo alcuni sentieri verso la pianura e rientriamo a Rieti tramite la ciclabile che ci porta direttamente all’Hotel Cavour.



2° Tappa - La Valle Francescana – Rieti-La Foresta-Convento S.Giacomo-Faggio di S.Francesco - km. 64,28

Salita verso Cantalice (m 722) km. 10
Salita verso Convento San Giacomo (m 625) km. 7
Salita verso il Faggio di San Francesco (m. 1102) km. 5

dislivello positivo m. 1326 - dislivello negativo m. 1326
alt
alt















Si parte per la seconda tappa con il cielo coperto, ma non piove. Lungo il percorso troveremo, però, sentieri infangati con diverse pozzanghere che renderanno difficoltosa la pedalata, ma poche volte mi sono divertito tanto.
Dopo la visita al Santuario di Greccio, oggi il cammino è dedicato ad altri due Santuari della valle reatina: Santa Maria della Foresta e San Giacomo Apostolo a Poggio Bustone che la tradizione vorrebbe fossero stati fondati da San Francesco ma, come sappiamo, nel frequentare questi monasteri era sempre ospite dei benedettini. Lui, invece, in tutta la sua vita non ha mai avuto intenzione di realizzare simili edifici, né per sé, né per i suoi seguaci, rimanendo fedele al principio della povertà assoluta. Ne avremo la conferma quando visiteremo la Porziuncola e il Sacro Tugurio di Rivotorto, gli unici di cui storicamente abbiamo avuto notizie di un suo intervento diretto, limitandosi sempre a riparare alcuni luoghi abbandonati e in rovina. Francesco, inoltre, non ebbe mai una fissa dimora, anche in questo ad imitazione della vita di Gesù.
Usciamo da Rieti per la Porta d’Arci che oltrepassa le mura medievali dalla tipica merlatura guelfa. All’uscita di Rieti inizia la prima salita che porta al Convento La Foresta, che fu al centro di alcune vicende che lo videro protagonista. Nell'estate del 1225, su suggerimento del cardinale Ugolino, essendo presente papa Onorio III con la sua corte e i suoi medici, Francesco è invitato a venire a Rieti per farsi curare dalla grave malattia agli occhi. Arrivato alle porte di Rieti, il santo, preoccupato per le calorose accoglienze che lo attendevano, preferì ritirarsi in un luogo appartato e per questo motivo soggiornò per più di cinquanta giorni presso la chiesa di San Fabiano, proprietà della Curia reatina, officiata da un prete privo di risorse economiche. Durante il suo soggiorno si verificò quello che la leggenda chiama il “miracolo del vino”. Dovunque passava, la gente accorreva per vederlo, incontrarlo, toccarlo. Anche i reatini, scoperto il rifugio del Santo, vi accorrono numerosi. Non disdegnano, dopo aver visitato Francesco, di assaggiare l’uva della vigna del prete. Il prete se ne lamentò tanto perché il raccolto dell’uva era il sostentamento per l’intero anno e ripeteva “ormai la mia vigna è perduta”. Il santo di Assisi ordinò comunque di raccogliere i pochi grappoli che fece pigiare in una vasca (ancora visibile nella struttura) ottenendo miracolosamente più del doppio del vino ottenuto l'anno precedente con un raccolto completo. La chiesetta di San Fabiano, esistente all’epoca della sosta di San Francesco, fu successivamente ampliata con la costruzione del Convento di Santa Maria della Foresta. Secondo diverse fonti storiche, nel suo soggiorno presso S. Fabiano, Francesco scrisse il “Cantico delle Creature", anche se altre versioni dicono che fu scritto a San Damiano. Non credo che sia importante accertare dove sia stato scritto il cantico, è importante apprezzarne la sua poetica e la sua spiritualità.
Attualmente il Santuario di Santa Maria della Foresta è gestito dalla “Mondo X”, una comunità di recupero per i tossicodipendenti con numerose sedi in Italia. La Comunità è stata fondata nel 1964 dal francescano Padre Eligio, dell’ordine dei frati minori. Dal 1965 consigliere spirituale del Milan, divenne amico personale di Gianni Rivera. L’amicizia tra il cacciatore e il frate proseguì anche dopo il termine della carriera sportiva e politica di Rivera che confermò in numerose interviste la sua ammirazione per l'operato dell’amico frate.
alt La visita alla Foresta faceva parte del Cammino di San Benedetto scelto da "Viaggiareinbici" e, come lo scorso anno, anche quest’anno Paolo ha previsto di effettuare una visita al Santuario che rappresenta uno dei tanti luogi in comune tra Benedetto e Franceco. Un volontario ci ha accolti, insieme ad una scolaresca. Oltre a raccontare alcuni episodi circa la presenza di Francesco al Santuario, il volontario di Mondo X ci ha illustrato le motivazioni e gli obiettivi della Comunità.
La Comunità “Mondo X” svolge la sua opera vivendo del proprio lavoro (effettuando anche attività alberghiera e di ristorazione) avendo rinunciato, per volontà di padre Eligio, a qualsiasi finanziamento dello Stato. Secondo “Mondo X” il problema droga è molto più profondo di quel che si vuole far apparire: è interiore perché è un devastante sconvolgimento dell’anima e non spetta allo Stato farsene carico, ma alla Chiesa. Mondo X ritiene che “Allo Stato spetta il compito di attenuarlo e di impegnarsi di più a garantire una maggiore prevenzione più che il recupero”. Negli ultimi tempi la Comunità ha allargato la propria attività a tutto ciò che riguarda i disagi derivanti da ogni forma di dipendenza, non solo quelle da utilizzo di droghe.
Quella di “Mondo X” è, senz’altro, un’interpretazione interessante sull’attività di recupero che si affianca a quella di altre comunità di volontariato che adottano modalità diverse, ma sempre utili a contenere una piaga della società odierna.
Lasciata la Foresta si prosegue lungo la salita che porta al borgo di Cantalice, oltrepassato il quale, dopo altri 10 chilometri arriviamo a Poggio Bustone. All’inizio del paese sono stati realizzati i “Giardini di Marzo” con la statua di Lucio Battisti con la sua immancabile chitarra. alt La foto collettiva è stata un doveroso omaggio al grande cantautore nato in questo borgo della Sabina. Il nostro gruppo di cicloturisti è formato da “meno giovani” tutti cresciuti con le sue melodie, stregati da quella che fu considerata una tecnica vocale imperfetta, ma anche da un linguaggio semplice. Sono un suo coetaneo, essendo nato pochi mesi dopo di lui e pur non essendo un fanatico della musica leggera mi sono deliziato ad ascoltare le sue canzoni, che continuo ad apprezzare molto. Al contrario di molti colleghi del suo tempo non fu un artista impegnato, né in politica né nel sociale. Nell’epoca d’oro della canzone di protesta, trattò prevalentemente temi sentimentali. Si dichiarò sempre politicamente indifferente, alienandosi le simpatie dei giovani “contestatori” di sinistra che, però, ascoltavano estasiati le sue canzoni.
Certamente Poggio Bustone è il paese natale del Lucio nazionale, ma è anche un’altra località francescana importante che il fraticello visitò per la prima volta con i suoi cofratelli nel 1206. Il Santuario di San Giacomo Apostolo, attualmente esistente, è stato costruito alla fine del XIV secolo. Superato il borgo di Poggio Bustone arriviamo al Convento che, dopo diverse manomissioni, è stato ristrutturato recentemente e riportato alla sua versione originale. Poggio Bustone fu il primo luogo della Valle Santa Reatina ad accogliere San Francesco ancora dilaniato per il rimorso dei peccati della sua vita precedente. Cercando un luogo nascosto dove raccogliersi in meditazione, Francesco si rifugiò sui monti che sovrastano il paese, dove secondo la leggenda gli apparve un angelo che gli annunciò la remissione dei peccati e gli preannunciò il luminoso futuro del suo Ordine. E’ a questo luogo che si fa risalire la vera nascita spirituale di Francesco. Sempre qui a Poggio Bustone, con il perdono ricevuto, iniziò la sua missione, rivolgendo a tutti quel saluto toccante e semplice: “Buongiorno, buona gente” con cui seppe entrare in contatto con le persone e cominciò ad attirarle a sé. Lo spirito francescano è inciso sul lato dell’ingresso del Convento di San Giacomo, con le parole che Francesco rivolgeva ai suoi discepoli: “Andate carissimi a due a due per le diverse plaghe della terra e annunziate agli uomini la pace”.
alt Si racconta che durante una passeggiata nei boschi di Cepparo di Rivodutri, poco distante da Poggio Bustone, fu sorpreso da un forte temporale. Cercando riparo sotto un albero di faggio, questo estese i suoi rami a proteggere il viandante formando intorno a lui una sorta di capanna, intrecciando i rami in una forma particolare che corre parallela al suolo. Un evento del tutto inusuale per questo tipo di albero che, normalmente, si estende in altezza. In tutto il mondo esistono solo altri due esemplari che presentano la stessa mutazione: uno in Inghilterra e uno in Nord America.
E’ uno dei 150 alberi monumentali d’Italia, categoria che comprende esemplari di eccezionale valore storico, paesaggistico o culturale. L’esemplare della specie “Fagus Sylvatica” di Cepparo ha un diametro di 7 metri ed alto 6 metri. È divenuto Monumento Naturale con decreto del Presidente della Regione Lazio nel 2008. Per quanto riguarda la datazione, gli studi più accurati parlano di un albero secolare, ma che non supera i 250 anni di età. Per conciliare scienza, storia e fede è più lecito pensare che Francesco abbia potuto vedere l’antenato di questo albero.
Dopo la visita a San Giacomo, meta obbligatoria è stato il “Faggio di San Francesco” che si trova a circa mille metri di altitudine, poco dopo l’abitato di Cepparo, nel comune di Rivodutri. Si continua a salire per strade secondarie e sentieri, accompagnati da una leggera pioggia, fino ad arrivare ad una chiesetta di recente costruzione, di fronte alla quale c’è un arco di legno che indica l’ingresso al sentiero che ci porta al vecchio faggio. Da profano devo dire che è un albero strano e se i botanici hanno accertato che ne esistono solo tre esemplari al mondo è del tutto giustificabile la leggenda del miracolo che è stata tramandata. Sostiamo per fare una visita e per scattare qualche foto, ma anche per riposarsi dalla lunga e faticosa salita. Nonostante il cielo plumbeo che non promette niente di buono il posto è meraviglioso, di un verde fitto, intervallato con qualche radura colorata di fiori prataioli. Francesco sapeva scegliere i luoghi dove meditare.
Il faggio di San Francesco è un “Monumento naturale”. La denominazione di monumento naturale viene attribuito a un bene che possiede qualità estetiche naturali e un elevato significato culturale e simbolico. L’intera zona intorno al parco è stata dichiarata Area naturale protetta con decreto regionale del 15 febbraio 2018.
Risalendo per il sentiero mi colpiscono alcuni rami o radici un po' particolari sparsi nel prato. La curiosità è data dai colori che non mi sono sembrati naturali. In un primo momento ho creduto ad un’intrusione in mezzo a tanta bellezza naturale. Si tratta di “radici auree” volute dalla Fondazione Mondo Digitale, nell’ambito del bando “Arte sui Cammini” promosso dalla Regione Lazio. Le opere sono state realizzate dall’artista Mariagrazia Pontorno con l’aiuto dei ragazzi del territorio. Si tratta di un’installazione permanente di tre sculture bronzate immaginate come simboliche estensioni delle radici dell’albero sacro, che si snodano lungo la strada in funzione anche di sedute per i pellegrini in cammino. Dopo attenta riflessione ho pensato che questo intreccio tra arte e natura non sia così inopportuno.
Lasciato il faggio, ritorniamo indietro in discesa per circa un chilometro fino ad un sentiero che, all’inizio, è abbastanza agevole, ma che diventa sempre più difficoltoso per la presenza di pietre e di buche, ma soprattutto per la recente pioggia che rende il terreno scivoloso. Una situazione che a me diverte molto, ma per non ostacolare il percorso ai compagni di viaggio, e non essere ostacolato, in alcuni tratti di discesa mi avvantaggio e vado a ruota libera. Lungo il bosco di San Francesco mi sono proprio divertito. Al termine del sentiero riprendiamo la strada asfaltata per alcuni chilometri e arriviamo a Valliola dove al Ristorante Maria arriviamo troppo tardi e ci dobbiamo accontentare di mangiare qualche panino. Dopo la sosta proseguiamo in discesa sulla strada asfaltata, al termine della discesa Paolo devia su un sentiero che pian piano viene cancellato dall’erba alta. Con una certa difficoltà riesce a individuare il percorso e arrivare ad un sentiero di campagna che costeggia il Lago di Ripasottile. Transitiamo di fianco al fabbricato delle idrovore che regimentano le acque della piana che confluiscono nel fiume Velino. La Valle reatina è stata oggetto di lavori di bonifica fin dai tempi dei romani. Un ruolo importane nella bonifica hanno avuto i cistercensi di San Pastore, ma la soluzione definitiva è avvenuta dei primi anni del Novecento con la costruzione delle dighe del Salto e del Turano. Del grande Lago Velino sono rimasti alcuni laghi minori. Tutta la pianura è stata resa fertile e destinata all’agricoltura.
alt Anche oggi abbiamo attraversato la Valle reatina, ma da un altro versante rispetto a ieri. La presenza degli eremi francescani e dei monasteri benedettini hanno dato giustamente il nome di “Valle Santa” alla pianura, ma questo luogo è anche un “paesaggio rurale storico” iscritto nel Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico: il “Paesaggio della Bonifica Romana e dei Campi allagati della Piana di Rieti”.
Lasciato il Lago di Ripasottile poco dopo inizia la ciclabile che ci riporta a Rieti, avendo percorso circa 64 chilometri e incontrati posti stupendi dal punto di vista sia storico che paesaggistico. Nonostante il tempo sempre incerto e a volte minaccioso, con il fango che ha inzaccherato le nostre divise e le bici, posso dire che è stata una bella passeggiata cicloturistica …..da ricordare.
Rientrando al nostro albergo passiamo di fronte al “Monumento nazionale alla lira”. E’ una scultura commemorativa realizzata non per nostalgia della vecchia moneta, ma per ricordare la stabilità e l’unità del paese. Per tramandare alle future generazioni un pezzo di storia e di costume italiano è stato inaugurato il 1° marzo del 2003 su iniziativa dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. La sua realizzazione è stata affidata alle Fonderie Caggiati di Parma, che hanno utilizzato tre tonnellate di vecchie monete, cioè 2,2 milioni di tagli da 200 lire. E’ un monumento che ricorda tante polemiche che, dopo 20 anni, non si sono ancora definitivamente spente, ma ci si continua a chiedere se si campava meglio con due milioni di lire al mese allora o con mille euro oggi. Una domanda a cui si dovrebbe rispondere in termini economici e matematico-finanziari e che, invece, è stato sempre risposto in maniera superficiale secondo le sensazioni individuali, del tutto arbitrarie.
La decisione di erigere questo monumento “nazionale” a Rieti risiede nel fatto che il centro città costituisce l’ombelico d’Italia e rappresenta, quindi, tutte le città italiane.



3° Tappa - Rieti - Terni - km. 70,56

Salita al Santuario di Fonte Colombo (m. 546) 2 km
Valico di Fontecerro (m. 837) 10 km
Salita di Scontrone (m. 460) 5 km

dislivello positivo m. 1167 - dislivello negativo m. 1424
alt
alt















Dopo due giorni a scorrazzare per la Valle Francescana con tempo incerto oggi, finalmente, si lascia Rieti con il cielo sereno.
Usciti da Rieti saliamo verso l’ultimo dei quattro eremi della Valle Santa: il Santuario di Fonte Colombo. Anche questo sito francescano è legato ad alcuni momenti mistici della vita di Francesco. Il nome di questo luogo lo si deve proprio a lui che vi aveva trovato una fontana di acqua fresca e limpida dove andavano ad abbeverarsi alcune colombe bianche. In questo Santuario nel settembre 1223, ospite dei monaci benedettini di Farfa, Francesco detta a frate Leone la stesura definitiva della Regola che sarà approvata da papa Onorio III.
Un anno prima della sua morte, qui egli ha ricevuto le cure mediche dell’epoca per la sua malattia agli occhi che, invece dei presunti benefici, gli procurò ancora più problemi. Mentre il medico scaldava il ferro, apostrofò il "fratello Foco" pregandolo di mitigare la sua forza, invocandone la benevolenza e la cortesia. E il fuoco risparmiò il santo dal dolore, con grande stupore e meraviglia del medico.
alt Durante il restauro del Santuario nel 1921 è venuto alla luce, in una finestrella, il disegno in rosso del TAU che la leggenda popolare vuole fatto dalla mano di Francesco stesso.
Lasciando Fonte Colombo Paolo, la nostra guida, decide di non prendere subito la salita per Contigliano, ma di percorrere un tratto di pista ciclabile, perché più tranquilla. La giornata è luminosa, c’è un sole splendido. Un tratto della ciclabile, perfettamente rettilineo, si trova all’ombra di un viale di acacie tappezzato di petali e di polline. Il candido tappeto nasconde, però una subdola insidia. L’asfalto della pista è rimasto umido dalla pioggia caduta nella notte. Durante la mattinata, essendo coperto dagli alberi l’asfalto non si è asciugato. Praticamente stiamo pedalando sopra una distesa gelatinosa sotto l’ombra fitta delle acacie, il sottofondo è per noi del tutto invisibile. Pedaliamo tutti rilassati godendoci la giornata, finalmente, luminosa. Anch’io non mi accorgo dell’insidia e, mentre mi rallegravo di quella parata trionfale su un manto di petali, improvvisamente, mi trovo in terra a strusciare per alcuni metri come se fossi sopra una saponetta bagnata. Di fianco a me scivola anche Franco. Ci rialziamo subito senza nessuna conseguenza fisica, ma completamente infangati con quella gelatina mista di polvere, acqua, petali e polline. Dietro di noi scivolano anche Mario e Patrizia, insieme a Fabrizio che come noi non subisce danni. Mario che già risentiva di un fastidio alla schiena, sente aumentato il suo dolore, mentre Patrizia ha un piccolo taglio al sopracciglio.
Le nostre guide decidono che Danilo avrebbe accompagnato i due coniugi ad una visita medica di controllo presso l’ospedale di Rieti, mentre il resto del gruppo avrebbe proseguito per Terni. Riprendiamo a pedalare nella pista ciclabile che, d’ora in poi, sarà interamente sotto il sole con asfalto asciutto. Al termine della pista inizia una leggera salita verso il paese di Contigliano, superato il quale la strada diventa più impegnativa fino al Valico di Fontecerro a 837 meri di altitudine.
alt Dopo ogni fatica ci si aspetta il relativo compenso, infatti, al Valico di Fontecerro inizia una lunga e divertente discesa in mezzo a un fitto bosco. Stiamo transitando sulla strada provinciale completamente priva di traffico. E’ la situazione ideale per un ciclista, ne approfitto per divertirmi un po' cercando di pennellare le curve con leggerezza, senza toccare i freni ma …..senza esagerare. Non ho più l’età per oltrepassare i limiti del buon senso. La ricompensa non finisce con il termine della discesa, perché all’improvviso appare in lontananza il bel panorama di Cottanello, un tipico borgo posto sulla cima di una collina e, dietro una curva, ci appare l’Eremo di San Cataldo. E’ un piccolo oratorio incavato alle pendici della montagna che si confonde con la roccia. Anche l’Eremo, come il faggio di San Francesco, è stato annoverato tra i monumenti naturali della Legione Lazio.
Come tanti reperti storici non se ne conoscono le origini, né la relazione con il santo irlandese. L’eremo era chiuso, abbiamo potuto visitare solo l’esterno arrampicandoci per la ripida scalinata scavata nella roccia, da cui si gode la vista di Cottanello. La strada che ci ha portato fin qui è stata costruita nel 1888. Ai tempi di Francesco esisteva solo una mulattiera che, probabilmente lui percorreva per venire da Greccio. L’eremo è stato costruito nel X secolo dai benedettini di Farfa.
Con decreto regionale del Lazio insieme all’Eremo è stato istituito anche il “Monumento naturale del marmo rosso di Cottanello”. Alle falde del Monte Lacerone, infatti si estendevano numerose cave di marmo, oggi chiuse perché non più redditizie. Non un vero marmo, ma un calcare marnoso dai colori rosa e rosso bruno, con venature di calcite bianca, gialla o grigie. Il marmo rosso di Cottanello è uno dei marmi maggiormente presenti nel barocco romano. Un esempio tra i più ammirati è il monumento di papa Alessandro VII del Bernini nella Basilica del Vaticano. alt Numerosi sono i palazzi e gli edifici religiosi che a Roma si fregiano del marmo rosso di Cottanello. Posso testimoniarlo per aver visto diverse volte questa pietra dalle venature rossastre durante le mie passeggiate romane, ma solo oggi ne ho potuto conoscere la provenienza.
Superato l’eremo ci dirigiamo verso il borgo dove facciamo un ampio giro per le stradine del centro storico. Pedalare all’interno dei paesi appenninici, quasi tutti arrampicati su ripide colline con strade talmente strette che non permettono l’ingresso delle auto, è molto seducente.
Essendo l’ora di pranzo ci fermiamo in una piazzetta all’ingresso del paese, dove c’è un’insegna invitante: “Antica Macelleria del Borgo”. Ci sono due giovani che ci accolgono con entusiasmo e ci illustrano le loro specialità artigianali. I fratelli Liberati curano tutto il ciclo produttivo: dall’allevamento del bestiame alla macellazione dei salumi. Durante la settimana il loro impegno è quello di accudire i suini e portare al pascolo i bovini di proprietà mentre nel fine settimane aprono la macelleria in attesa dei “cittadini” alla ricerca di prodotti genuini. Anche noi approfittiamo per fare una colazione genuina, con prodotti casarecci. Vengono preparati panini “imbottiti” per tutti: prosciutto, salame, lonza e ogni altro tipo di salume infarcito di formaggi dei monti sabini. In attesa che tutti vengano serviti, io rimango attirato da una confezione di mortadella (di cui sono ghiotto) messa in bella vista al centro della vetrina. Avendo chiesto un panino con la mortadella mi viene risposto, con giusta irritazione e amarezza, “ma tu vieni fino a Cottanello per chiedermi la mortadella di Bologna? I nostri salumi sono fatti qui, sul posto, sono prodotti casarecci fatti con carne allevata da noi. Se vuoi la mortadella puoi andare a Bologna” Dopo aver fatto ammenda ripiego su un panino con lonza che, naturalmente, aveva un buon sapore.
alt Il pasto fatto di panini avviene in maniera precaria, non ci sono né sedie, né tavolini. Per di più ad un certo punto arriva un acquazzone che, per fortuna, dura solo pochi minuti. E’ l’ultimo scroscio d’acqua che incontriamo, d’ora in poi godremo di tanto sole, fino ad Arezzo. Siamo rimasti talmente estasiati da come i fratelli Liberati hanno presentato i loro prodotti che, nonostante la precarietà e la pioggia, i panini ci hanno completamente soddisfatto.
Durante la sosta a Cottanello riceviamo notizie di Mario e Patrizia, sono stati curati e dimessi all’Ospedale di Rieti, il fastidio di Mario non è grave, ma i medici gli hanno consigliato di non proseguire il cammino in bici, mentre a Patrizia è stata curata la ferita e dopo un giorno di riposo potrebbe proseguire in bici. La rivedreamo al nostro fianco alla partenza da Spoleto. Dopo un buon caffè preso al bar di fronte riprendiamo la strada verso Terni in una zona al confine tra il Lazio e l’Umbria, percorrendo strade che non conosco, il che mi rende il viaggio più interessante.
Durante i miei percorsi su strade secondarie, ho sempre notato la scarsezza di indicazioni stradali. Arrivati, però, ad un bivio in prossimità del confine Lazio-Umbria, notiamo una trentina di indicazioni stradali. Nei quattro angoli del bivio c'è una sfilza di cartelli con l'indicazione di diverse destinazioni: da Rieti, a Terni, a Roma e altre mete secondarie, tra cui mi hanno colpito: Lugnola, Montasola, Roccantica, Cantalupo, Montebuono, Vacone. Al di là dei nomi curiosi di alcuni paesi apprezzo la diligenza e l’accuratezza di questi segnali e penso sempre che i sindaci d’Italia possono dare un buon servizio ai turisti e ai viaggiatori anche con investimenti di pochi soldi. In un paese come il nostro, a forte vocazione turistica, non è facile trovare una segnaletica così ampia. Con tutte queste indicazioni non possiamo sbagliare strada e proseguiamo in discesa verso la salita di Stroncone che, ci hanno detto, sarà particolarmente impegnativa, fatta per "strocare le gambe".
alt Terminata la discesa arriviamo ad un bivio da cui potremo proseguire dritti per Terni, ma noi giriamo a destra nella direzione di Stroncone, dove c’è un bel triangolo con l'indicazione: “20%”. Un altro preavviso su ciò che ci aspetta. Ci fermiamo per radunarci e ripartire tutti insieme. Talvolta mi succede di partire in tutta fretta e qualcosa va storto (di solito dimentico un oggetto sul posto!). Nell’avviare le prime pedalate all'inizio della salita faccio una manovra sbagliata e l’assistenza del motore non parte, sono costretto a fare qualche centinaia di metri con la sola forza muscolare in un tratto che è già molto impegnativo. L’e-bike è troppo pesante per affrontare una salita difficile senza l'ausilio del motore. Sono costretto a fermarmi per cercare di far ripartire il motore. Stacco la batteria e successivamente riaccendo il computer, l'assistenza del motore si riavvia e mi consente di proseguire con scioltezza, ma per riprendere i miei compagni che si sono avvantaggiati mi devo impegnare più del solito. Al termine della salita tutti concordano con il fatto che era una salita particolarmente gravosa. Complimenti a Fabrizio che ha pedalato con una bici muscolare, ma i complimenti vanno anche al nostro capo-guida Paolo. Stroncone è un altro dei borghi appenninici degni di una visita nonostante la fatica sono contento di essere salito a Stroncone.
Naturalmente faccio un giro per i vicoli del paese e, dopo il rituale caffè, percorriamo gli ultimi 9 chilometri di giornata, quasi tutti in discesa. All’ingresso di Terni passiamo davanti alla chiesa di San Valentino. La chiesa non è particolarmente interessante, ma il santo è famoso per essere il protettore degli innamorati. Sarà difficile che un giorno ritorni da queste parti e, siccome San Valentino è una figura importante nell’immaginario consumistico dei giorni nostri, ritengo doveroso immortalare il momento con una foto. Penso spesso a quando (per non fermarmi e per la fretta) trascuro di fotografare qualche episodio, con grandi rimpianti. Ultimamente ho deciso di scattare qualche foto in più, senza risparmiarmi. Del resto le foto digitali non costano nulla. In totale nelle due parti del Cammino ho scattato più di 650 foto e un centinaio di video.
Arriviamo al nostro albergo di fronte alla moderna stazione di Terni, completamente diversa da quella che vedevo da bambino quando, con il treno, tornavo da Roma al mio paese natale. Di fronte alla stazione è stato eretto un manufatto costituito da una grande pressa proveniente dalle acciaierie di Terni che per molto tempo è stato, ma lo è ancora, il punto nevralgico della città.
In albergo troviamo i due coniugi reduci dal viaggio in auto dall'Ospedale di Rieti. Siamo tutti contenti di trovarli in buona condizione. La sera consumiamo una buona cena al ristorante, sulla terrazza dell’albergo.



4° Tappa - Terni - Valnerina - Spoleto km. 66,14

Valico di Forca di Cerro (m. 726) km. 9

dislivello positivo m. 1202 - dislivello negativo m. 957
alt
alt
















Siamo alla quarta giornata di cammino, è passato il week end, ma non ce ne siamo accorti. Oggi è lunedì, ma per me è un giorno particolare, di ricordi d'infanzia.
Stiamo per entrare nella Valnerina e passeremo per la Cascata delle Marmore pedalando sulla ciclabile della ex ferrovia. Ho percorso tante volte questa valle: con la corriera (così si chiamavano gli autobus negli anni ’50), con l’auto e con la moto. Lo scorso anno l’ho percorsa in bici, in senso inverso, facendo il Cammino di San Benedetto. La Valnerina per me è uno dei simboli dell’Appennino. A quei tempi vedevo i suoi monti spogli, un po' squallidi, oggi la vegetazione è ricca e verdissima. La natura anche in Valnerina si è ripreso ciò che gli appartiene. Mi piace sempre attraversare questi posti, oggi in sella ad una bici, sarà ancora più suggestivo.
Si parte senza la compagnia di Franco che ha dovuto lasciare il cammino per motivi di famiglia (non gravi ci ha assicurato). Con Paolo alla testa del gruppo e Danilo che, insieme a Mario e Patrizia ci scorta con il pulmino, puntiamo verso la Cascata delle Marmore. La prima parte della tappa non poteva andare meglio. Le cascate alla confluenza del fiume Velino con il Nera sono una meraviglia della natura, anche se la mano dell’uomo è intervenuta più volte a modificarne il tracciato. Dai tempi dell’Impero Romano, infatti, si è cercato di regolare il flusso delle acque dei due fiumi perché, a causa delle improvvise piene, l’acqua del Velino tracimava nella pianura reatina e talvolta era il Nera che minacciava l’abitato di Terni. Nei secoli, diverse volte furono modificate le balze della cascata, l’aspetto attuale lo si deve all’architetto Andrea Vici che, su ordine di Papa Pio VI, nel 1787 realizzò il canale Pio e modificò i salti della cascata risolvendo quasi tutti i problemi. Solo all’inizio del XX secolo, furono costruite alcune centrali idroelettriche che sfruttavano le acque delle Marmore di cui poterono beneficiare soprattutto le neonate Acciaierie di Terni e portò benessere in tutta la vallata.
alt Attualmente il corso delle acque viene controllato e in determinati orari viene limitato il flusso verso la centrale idroelettrica per consentire la vista delle cascate. In tal modo diminuisce il lavoro delle turbine e la produzione di energia elettrica, conciliando le esigenze turistiche con quelle produttive. Intorno alla cascata è stato realizzato un Parco attrezzato che mediante un percorso panoramico collega il belvedere inferiore al belvedere superiore. Il dislivello della cascata è di 165 metri ed è suddiviso in tre salti. Il nome “Marmore” deriva dai sali di carbonato di calcio che rende le rocce simili a marmo bianco, anche se oggi si presenta verdissima.
Dal 1901 fino al 1960 era funzionante una ferrovia leggera, la tranvia Terni-Ferentillo, ora dismessa. Nel periodo tra le due guerre mondiali la presenza della ferrovia, con diverse industrie che utilizzavano l’energia prodotta dalla cascata portò notevoli benefici economici, ma le conseguenze della seconda guerra mondiale, le crisi economiche, le trasformazioni industriali, diedero origine anche in Valnerina a un graduale spopolamento e, pertanto, nel 1960 una Commissione Provinciale valutò non sostenibile il mantenimento della tranvia e ne fu deciso lo smantellamento. La stesa sorte toccò al tratto ferroviario che collegava Spoleto a Norcia, passando per S. Anatolia di Narco. Posso dire che qualche volta ho potuto assistere al passaggio della vecchia tranvia quando, negli anni '50 del secolo scorso, transitavo per la Valnerina. Oggi pedalo lungo la ciclabile con una certa emozione e un po' di orgoglio. La lungimiranza delle autorità locali non hanno permesso lo smantellamento totale della linea ferroviaria che fu trasformata in pista ciclabile.
A causa dei danni causati dagli ultimi terremoti alcune gallerie pericolanti sono state chiuse, pertanto la pista non è interamente transitabile. Il percorso scelto da Paolo ci consente di pedalare lungo un bel sentiero sterrato, dalle Cascate delle Marmore fino a Ferentillo per circa 12 km costeggiando il corso del Nera. A Ferentillo Paolo ci invita a visitare il Museo delle Mummie realizzato nella cripta della chiesa di Santo Stefano. Le mummie esposte in apposite teche, provengono dai sotterranei della chiesa dove, fino al 1806, venivano inumati i defunti del paese. In seguito ad alcuni lavori effettuati all’interno della cripta emersero dei corpi che, attraverso un processo di mummificazione, avevano mantenuto un buono stato di conservazione. Alla fine del XIX secolo è stato deciso di creare un museo a testimonianza di un fenomeno abbastanza inusuale. Dopo la visita al museo e un giro per il borgo, proseguiamo per altri 5 chilometri su strada statale che lasciamo a Macenano da dove riprende un altro tratto della ciclabile fino a S. Anatolia di Narco per circa 13 chilometri costeggiando sempre il fiume Nera, con un percorso ondulato e completamento immersi nel verde. Lungo il sentiero transitiamo per il piccolo borgo di Scheggino che ci invita ad un’altra pedalata all’interno dei vicoli del paese. Percorrendo la “Greenway del Nera” arriviamo a S. Anatolia di Narco, uno dei tanti borghi sorti ai piedi di un antico Castello.
alt Qui, dal 1926 fino al 1968, ha operato anche la ferrovia a trazione elettrica Spoleto-Norcia, per la cui realizzazione furono costruite ben 19 gallerie e 24 ponti con tecniche ingegneristiche dalle soluzioni ardite, che ancora oggi è possibile vedere. Al contrario della tranvia della Valnerina, questa era una vera ferrovia di montagna. I viadotti di Cortaccione e Caprareccia rappresentano opere di grande pregio architettonico. La galleria di Caprareccia raggiunge quasi 2 chilometri, ci sono diversi tratti elicoidali simili alle ferrovie di alta montagna. Attualmente la galleria di Caprareccia è stata chiusa per precauzione e, pertanto il percorso ciclabile è ridotto a 7 chilometri. Lo scorso anno nel Cammino di San Benedetto è stato ancora possibile fare l’intero tratto dell’ex ferrovia da Spoleto a S. Anatolia di Narco per 18 chilometri, ma l’attraversamento della galleria, completamente al buio, è stato particolarmente difficoltoso. Di piste ciclabili ne ho percorse tante e dovunque se ne stanno costruendo di nuove, ma la pista realizzata nell’ex ferrovia Spoeto-Norcia è una vera pista per cicloturisti, anche se attualmente necessita di alcune ristrutturazioni. Sia dal punto di vista paesaggistico che sotto l’aspetto sportivo rappresenta l’ideale per ogni ciclista. Nel 2001 l'area è stata dichiarata di notevole interesse storico-artistico dal Ministero dei Beni Culturali.
Giunti a S. Anatolia di Narco ci siamo fermati per il pranzo. Abbiamo scelto la stessa trattoria dello scorso anno dove ho mangiato una buona matriciana. Una trattoria con norcineria artigiana con diversi prosciutti che pendevano dal soffitto che emanavano un buon profumo.
alt Ripreso il cammino abbiamo pedalato nel sentiero che costeggia la strada nazionale fino a Piedipaterno verso la salita per Forca di Cerro dove per alcuni brevi tratti è caduta una leggera pioggerellina, preannunciata da grossi nuvoloni in un’alternanza di pieno sole e sole coperto. Un tempo ideale per qualunque cicloturista. Il tempo ha continuato ad essere molto variabile, nuvole nere venivano e sparivano in continuazione. Superato il valico di Forca di Cerro a 726 metri di altitudine siamo arrivati al viadotto di Caprareccia, dove inizia la discesa verso Spoleto. Con un anello elicoidale siamo saliti sul viadotto che abbiamo attraversato con un sole leggermente coperto, ma poco dopo è arrivato ciò che si preannunciava fin dal mattino. Un violento e improvviso acquazzone dal quale ci siamo salvati grazie alla presenza dei una delle gallerie dell'ex ferrovia Spoleto-Norcia. Un tipico acquazzone estivo, durato pochi minuti. Suggestivo è il video che sono riuscito a fare del temporale che ci ha colpito. E’ stato l’ultimo scroscio d’acqua che abbiamo incontriamo, d’ora in poi godremo di tanto sole, fino ad Arezzo. Spoleto ci ha accolto con un bel sole, per arrivare all’Hotel Clitunno abbiamo attraversato il centro storico della città lungo gli stretti vicoli, che mi appassionano tanto. Lo scorso anno Spoleto è stata la località di partenza del "Cammino di San Benedetto" e ho avuto l'occasione di fare un'ampia visita per l'antica città medievale. Quest'anno approfitto per fare un bel riposo in attesa della cena nel tipico ristorante dell'Hotel Clitunno.

5° Tappa - Spoleto - Assisi km. 53,26

Salita verso Assisi (m. 432) km. 7

dislivello positivo m. 358 - dislivello negativo m. 503
alt
alt















Siamo arrivati all’ultima tappa della prima parte del cammino di San Francesco. Oggi i miei compagni di viaggio torneranno a casa, io mi appresto a percorrere la seconda parte del Cammino. Altre cinque tappe fino ad Arezzo, ma soprattutto fino a Gubbio e La Verna, due punti di riferimento di questo cammino, percorrendo zone che sono state meta di pellegrinaggio di Franceco e dei suoi fraticelli.
La giornata è splendida, non c’è ombra di nuvole. Patrizia, oggi, riprende a pedalare dopo due giorni di riposo. La sua ferita sulla fronte non ha dato nessuna conseguenza. Mario, prudentemente, resta a riposo perché risente ancora del dolore al torace. Uscendo da Spoleto si prende una ciclabile completamente pianeggiante che ci porta a Foligno. Anche questa valle è “terra di Francesco”: “Nil iucundius vidi valle mea spoletana” (Non ho visto niente di più giocoso della mia valle spoletana).
Spoleto è anche la “Via di Damasco” di Francesco, dove prese la decisione finale di abbracciare la povertà, che fissò nella sua Regola. Giunto in questa località gli ritorna il dilemma se, cioè, lui e i suoi seguaci dovessero vivere la loro vita tra gli uomini o ritirarsi in luoghi solitari. Come affermò Tommaso da Celano nella biografia del santo “Francesco scelse di vivere non per sé solo, ma per Colui che è morto per tutti, sapendo che egli è stato inviato per ciò, per lucrare a Dio le anime, che il diavolo si sforzava di strappargli”. Anche Bonaventura da Bagnoreggio nella sua “Legenda major” confermò che Francesco non rinchiuse i suoi “frati” in convento, ma li inviò per villaggi, sobborghi, campagne alla ricerca di persone da aiutare e afflitti da consolare.
alt Stiamo transitando nel centro della regione verde. Percorrendo la pianura di Spoleto si può ammirare a destra Campiello sul Clitunno e il caratteristico abitato di Trevi e a sinistra, in lontananza, il borgo di Montefalco nella meravigliosa campagna umbra, ricca di colline ricoperte di boschi, vigneti e uliveti. Fino a Foligno pedaliamo lungo una comoda ciclabile intervallata con stradine di campagna poco trafficate, costeggiando un corso d’acqua chiamato Teverone. Entriamo a Foligno e attraversiamo il centro storico fino a Piazza della Repubblica. Lungo il Corso Cavour mi colpisce una scolaresca che cammina in fila indiana, sono bambini della scuola dell’infanzia che indossano pettorine gialle, tipiche del ”pedibus”, che ormai viene organizzato in diversi comuni d’Italia e che mi ha coinvolto per l’intero anno scolastico con gli alunni della scuola elementare D’Annunzio di Roseto degli Abruzzi.
Foligno è una città moderna che conserva molte delle sue tradizioni storiche. La sua posizione privilegiata, al centro di grandi vie di comunicazione, ha favorito lo sviluppo di una solida economia basata su settori industriali ed artigianali d'avanguardia. Tra i suoi cimeli si può menzionare il Palazzo Orfini, sede della tipografia dove venne stampata la prima copia della Divina Commedia.
A Foligno Francesco iniziò la sua vita di penitente compiendo il suo primo atto di generosità. Nel 1205 vi giunse conducendo un cavallo carico di stoffe preziose, che aveva prelevato dal fondaco paterno, dopo che il Crocifisso a S. Damiano gli aveva ordinato di restaurare la "sua" Chiesa. Vendette stoffe e cavallo, poi tornò a piedi ad Assisi, si presentò al prete custode di S. Damiano consegnandogli i soldi ricavati. Dato che il prete aveva timore che l'avaro Pietro di Bernardone si fosse vendicato di lui, non accettò l'offerta. La leggenda non spiega che fine abbiano fatto quei denari, ma possiamo pensare che Francesco li utilizzò per distribuirli a chi ne aveva bisogno.
Il fraticello visitò Foligno più volte e anche qui si verificò un altro episodio di profezia. Narra Tommaso da Celano: “Trovandosi una volta il beato Padre a Foligno con frate Elia, una notte in sogno a frate Elia apparve un sacerdote bianco-vestito, vegliardo e di aspetto venerando, che gli disse: Alzati, fratello, e dì a frate Francesco che sono già compiuti diciotto anni da quando rinunciò al mondo per seguire il Cristo; che rimarrà ancora solo due anni in questa vita, poi chiamato dal Signore, passerà all'altra",
Dopo una sosta ristoratrice usciamo da Foligno attraversando il fiume Topino sul Ponte della Liberazione. Il fiume Topino nasce a Bagnara Umbra, vicino Nocera, si racconta che negli ultimi tempi della sua vita S. Francesco volle visitare l’eremo di Michele Arcangelo, vicino Bagnara, per un periodo di riposo e per curare i suoi occhi con l’acqua miracolosa della sorgente. Il suo stato di salute si aggravava sempre di più, allora i frati insieme agli abitanti di Assisi decisero di riaccompagnarlo nella sua città e fu organizzato un drappello di cavalieri che aveva il compito di scortarlo fino ad Assisi. Per la gente di Assisi la figura di Francesco era troppo importante, ma più importante era la protezione del suo corpo viste le condizioni di salute molto precarie. La fama del fraticello era diventata di pubblico dominio e tutte le città ambivano a ricevere una sua visita, ma soprattutto a poter custodire le sue reliquie. Gli assisani si erano fatti più attenti nella protezione del fraticello, contro le mire delle città vicine, di cui Perugia si era dimostrata la più scaltra. Quella che fu chiamata la “Cavalcata di Satriano” venne raccontata da Tommaso da Celano: “Avvenne che il beato Francesco, pieno di malattie già ridotto quasi agli estremi, mentre si trovava nel convento di Nocera fosse richiesto dal popolo d’Assisi, il quale inviò una solenne ambasciata a prenderlo per non lasciare ad altri la gloria di possedere il corpo dell’uomo di Dio. I cavalieri che con riverenza lo scortavano a cavallo, giunti ad una poverissima cittadina di nome Satriano, sentendo, per la fame e l’ora, bisogno di cibo, ma non trovandovi, per quanto cercassero, nulla da comprare, tornarono al beato Francesco e gli dissero: «Occorre che tu ci dia delle tue elemosine, poiché qui non possiamo comprar nulla». Rispose il Santo: «Non trovate, perché confidate più nelle vostre mosche (chiamava mosche i denari), che in Dio. Ma, aggiunse, ritornate indietro per le case che avete già visitate, e offrendo l’amor di Dio invece di denari, domandate umilmente l’elemosina. Non vogliate vergognarvi, poiché ogni bene è concesso per elemosina dopo il peccato, e quel grande Elemosiniere dona con clemente generosità a chi merita e a chi non merita». I cavalieri, deposta la vergogna, andarono chiedendo l’elemosina e ottennero per amor di Dio assai più che col denaro, poiché tutti a gara donarono con piacere; non valse più la fame là dove prevalse la ricca povertà”.
alt Attraversato il Topino prendiamo decisamente per la campagna e, dopo pochi chilometri raggiungiamo un’altra delle perle del paesaggio umbro, il borgo medievale di Spello: la città dell’infiorata e dei balconi fioriti. Spello unisce il suo carattere medievale, con vicoli tortuosi e antiche case in pietra a numerose testimonianze di epoca romana. Appena entrati in città ci siamo diretti alla Collegiata di Santa Maria Maggiore dove, nella Cappella Baglioni, abbiamo potuto ammirare tre capolavori di Pinturicchio: “L’Annunciazione”, “L’adorazione dei pastori e la Cavalcata dei Magi", “La disputa di Gesù con i dottori”. Spello meriterebbe una visita più approfondita, ma viaggiando in bici non è possibile dedicare troppo tempo ai dettagli. Per un cicloturista c’è da rispettare anche la tabella di marcia.
Malgrado la vicinanza ad Assisi, le Fonti Francescane non riportano episodi significativi della vita di San Francesco in questa città. Uscendo dalla porta Montanara ci accingiamo a percorrere gli ultimi 15 km. L’ultimo tratto di strada è assai piacevole: il cammino si snoda lungo la costa del Monte Subasio, tra boschi e distese di uliveti, offrendo bellissime visuali della pianura sottostante.
Entriamo ad Assisi dalla Porta Nuova transitando per la chiesa di Santa Chiara. Proseguendo per via Mazzini siamo arrivato alla Piazza del Comune con il cosiddetto tempio di Minerva (probabilmente dedicato ad Ercole) di epoca romana, trasformato nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva con il relativo campanile chiamato “Torre del Popolo”.
La Piazza del Comune è da sempre il fulcro della vita sociale e culturale di Assisi. Posta sopra un Foro romano, nel medioevo era il luogo di raduni popolari. E’ qui che Francesco, ritornato da Foligno dove aveva venduto le mercanzie asportate dalla casa paterna, compì il primo gesto di vita penitente. Di fronte al popolo presente nella piazza fece la “svestizione”, spogliandosi completamente degli abiti e dichiarando pubblicamente di abbracciare la povertà. Uscito da Assisi, ormai libero dall’inquietudine, fermo e fiero della sua conversione, Francesco si rifugiò, per intercessione del Vescovo Guido, presso il monastero di San Verecondo a Vallingegno. Ma la vita monacale, scandita da ritualità, tempi e ritmi ripetuti nel chiuso di mura e di chiostri, non era quella a cui aspirava il “giullare di Dio”, che avvertiva il bisogno di sentirsi creatura partecipe ai bisogni di chi soffre. Nonostante i buoni rapporti con i monaci decise di lasciare il convento. Iniziò una vita errante nel mondo a contatto con gli ultimi, i diseredati, i poveri e i malati. Il poverello d’Assisi ha voluto vivere tutte le sofferenze del Cristo per la salvezza dell’umanità, con un comportamento che solo un santo e un asceta può adottare ma che non può essere richiesto a un comune mortale.
Lasciata la piazza della svestizione, proseguiamo per l’ultima meta di giornata, ma anche la più importante del Cammino. Scendendo dagli stretti vicoli della parte alta di Assisi, la Basilica di San Francesco si presenta spettacolare e immensa.
Assisi gode di una splendida posizione su una collina, precisamente su uno sperone del Monte Subasio, con vista sulla Valle Umbra e situata tra i fiumi Chiascio e Topino menzionati da Dante che, elogiando il santo e il suo luogo di nascita, li cita nel XI Canto del paradiso: “Intra Tupino e l’acqua che discende dal colle eletto dal beato Ubaldo fertile costa d’alto monte pende …..Di questa costa, là dov’ella frange più sia rattezza, nacque al mondo un sole…”
La Basilica del Santo rappresenta un luogo emblematico per il Cristianesimo, ma anche per la storia dell’arte. Arrivando qui non si può mancare una visita all’interno per ammirare gli affreschi di Giotto e Cimabue, miracolosamente salvati dai danni del terremoto.
alt La prima parte del Cammino di San Francesco non poteva terminare meglio. La degna conclusione di un meraviglioso percorso attraverso luoghi che mi affascinano sempre. La giornata termina all’Hotel Bellavista di S. Maria degli Angeli dove saluto i miei compagni di viaggio che tornano a Rieti a riprendere le loro autovetture per ritornare alle proprie case, mentre io domani ripartirò insieme a nuovi appassionati cicloturisti. E’ stato una compagnia tranquilla e affiatata. Avendo fatto diverse esperienze di viaggi in gruppo, posso dire che non è facile trovare persone che si integrano facilmente come è successo a noi.
Abbiamo passato un periodo di tempo insieme a fare ciò che ci piace di più: viaggiare in sella ad una bicicletta. Un ringraziamento a tutti e un abbraccio a Adriana e Giorgio, a Patrizia e Mario, a Rossella e Luciano, a Fabrizio e Franco. Un ringraziamento a Paolo e Danilo per come ci hanno assistito durante il viaggio e per la scelta dei percorsi.
L'intero percorso della prima parte del Cammino, da Rieti ad Assisi, è stato di km. 295, misurati ogni giorno con il Garmin e l'applicazione Wikiloc.

23 maggio 2023